Gli uomini (…) tendono a chiamare civiltà ciò che già conoscono, e barbarie ciò che ancora non hanno compreso. Alessandro Baricco
Essere capaci di uscire da una definizione ristretta di sé potrebbe diventare una competenza necessaria per sopravvivere nel XXI secolo. (…) Se questa generazione non riuscirà ad avere una visione complessiva del cosmo, il futuro della vita sarà deciso dal caso. Yuval Noah Harari
In questo articolo vorrei evidenziare la connessione profonda tra eventi apparentemente scollegati che attraversano l’evoluzione collettiva dell’umanità così come, su un’altra scala di osservazione, l’evoluzione di ogni singolo individuo. In particolare proverò a scrivere alcune considerazioni sul senso delle rivoluzioni e della rivoluzione digitale in particolare, aiutandomi con le osservazioni di autori attenti e curiosi (A. Baricco in primis: saranno sue tutte le citazioni tra virgolette, tranne dove diversamente specificato) e con alcune conoscenze sulla psiche umana maturate nei miei studi e nella mia esperienza di psicoanalista.
Rivoluzione digitale: lo spirito delle origini
La rivoluzione digitale è nata nella mente di ingegneri californiani che facevano parte di una comunità di persone che viveva nelle comuni, manifestava contro la guerra del Vietnam, si calava Lsd per espandere la coscienza e andava a Woodstock: la cultura beat, divenuta poi hippie. La nascita di Internet, del Web e dei primi videogames ha qualcosa della rivoluzione anti-sistema. Qualche esempio per capirci: tra il 1999 e il 2001 il software Napster, permettendo il libero scambio di files audio, ha messo in ginocchio l’industria discografica prima di essere messo fuori legge. Morto Napster è subito arrivato I-Tunes, risolvendo il problema dell’illegalità. Uber ha seguìto la stessa traiettoria per quanto riguarda i servizi di autotrasporto di persone. Cosa intendo per anti-sistema?
Intendo l’esigenza insopprimibile di ogni essere umano di sentirsi protagonista, costruendo in prima persona il senso della propria vita e della propria storia, rimettendo in discussione un sistema già dato di idee, stili di vita, regole, intermediari, sacerdoti, padri, dottrine, ideologie, leggi etc. C. G. Jung chiamava processo di individuazione questo percorso rivoluzionario individuale.
A livello collettivo sembra che le rivoluzioni nascano quando un certo numero di esseri umani giunge ad una consapevolezza di sé e del mondo che li porta a non volersi sentire più marginali, a voler conquistare una posizione legittimata, ad entrare nella storia, a diventare parte del mondo degli umani che non si limitano a vivere e fare esperienze, ma che imparano a riflettere sulla vita e a dare senso alle esperienze. Nelle rivoluzioni c’è sempre qualcosa del desiderio umano di sentirsi protagonisti, di poter comprendere meglio sé e il mondo. Potremmo dire, con Silvia Montefoschi, che le rivoluzioni sono attraversate da una tensione che spinge “dall’Essere alla coscienza dell’Essere”.
I rivoluzionari francesi, per esempio, cercarono di legittimarsi a scrivere una storia per potersi sentire anch’essi figli di Dio, strappando la discendenza divina agli aristocratici che se l’attribuivano in esclusiva secondo una tradizione millenaria. Per fare questo crearono niente di meno che il concetto di anima, intendendo un sentire interiore, un brivido sublime, una vibrazione intellettuale e sentimentale, un ampliamento di orizzonte verso una capacità di rappresentare se stessi in modo nuovo, con un cambiamento di sguardo che possiamo ritrovare, nei libri e nei dipinti caratteristici di quel movimento che abbiamo poi chiamato Romanticismo, nel passaggio dalla rappresentazione di soggetti religiosi o aristocratici a quella della natura e della vita quotidiana delle persone comuni.
Per capire qualcosa in più della dinamica delle rivoluzioni, A. Baricco porta l’esempio della Nona di Beethoven come opera al tempo giudicata barbara (rispetto ad un Madrigale di Monteverdi , per esempio), ma poi divenuta un caposaldo della cultura che oggi pensiamo essere alla base della nostra civiltà, e che vediamo a sua volta assediata da nuovi barbari. Una recensione dell’epoca chiarisce splendidamente il concetto: “Eleganza, purezza e misura, che erano i princìpi della nostra arte, si sono gradualmente arresi al nuovo stile, frivolo e affettato, che questi tempi, dal talento superficiale, hanno adottato. Cervelli che, per educazione e abitudine, non riescono a pensare a qualcosa d’altro che i vestiti, la moda, il gossip, la lettura di romanzi e la dissipazione morali, fanno fatica a provare i piaceri, più elaborati e meno febbrili, della scienza e dell’arte. Beethoven scrive per quei cervelli.” A quel tempo la Nona era la bandiera dei barbari romantici che scorrazzavano per le strade della vecchia civiltà del secolo dei lumi!
I barbari utilizzano sempre una lingua nuova, più semplice, più spettacolare, invadendo un territorio a cui, fino ad un certo punto, non avevano avuto accesso: il territorio della ricerca del senso di sé e delle cose. Scrive Baricco: “Bisogna concedere ai barbari la chance di essere un animale, con una sua compiutezza e un suo senso, e non pezzi del nostro corpo colpiti da una malattia. Bisogna fare lo sforzo di supporre, alle loro spalle, una logica non suicida, un movimento lucido, un sogno vero”. In psicoanalisi individuale diremmo: “Bisogna concedere al sintomo e all’inconscio che lo porta alla luce la chance di esprimere un’intenzione curativa, che non sia cioè un semplice disturbo da eliminare o un pezzo della nostra psiche colpito da una malattia. Bisogna fare lo sforzo di supporre, alle sue spalle, una logica non suicida, un movimento lucido, un sogno vero: l’ampliamento della consapevolezza del Soggetto, la sua guarigione”.
Il sistema uomo è vivo quando un Soggetto è presente e dà senso alle vicende che vive: se il senso rimane inconscio, l’identità di quell’uomo si irrigidisce, ed egli ne soffre. Possiamo estendere questo funzionamento all’umanità intera, concependo il collettivo come un sistema (identità) da rinnovare continuamente (rivoluzione, trasformazione evolutiva dell’identità).
Rivoluzioni tecnologiche
Una rivoluzione ha spesso origine da nuove scoperte e dalla creazione di nuove tecnologie. L’aria condizionata rende possibile la coltivazione di uva anche in zone climaticamente non adatte, e nasce così il vino californiano, meno complesso, meno elitario di quelli europei. Risultato: molte più persone, prima escluse, accedono al consumo e ai piaceri del vino.
La TV digitale trasforma il calcio, lo spettacolarizza e lo vuole più veloce. Il gesto geniale di un singolo, del vecchio numero 10, non basta più, e così Baggio può finire in panchina e i giocatori-bandiera si estinguono. L’emozione, lo spettacolo viene distribuito tra tutti i giocatori (il calcio totale inaugurato dagli olandesi) in modo da velocizzarsi: meno classe, più corsa, tecnica più diffusa, niente più applausi quando il terzino butta la palla in fallo laterale.
Ultimo esempio, i libri. Fino alla metà del Settecento i lettori di libri erano quasi esclusivamente gli aristocratici che li scrivevano; con l’avvento della borghesia molte più persone ebbero capacità, soldi e tempo per leggere, potendo così pervenire ad una consapevolezza di sé più elevata e profonda. Sempre Baricco: “Quando il radar degli intellettuali inquadra la stupidità senza scampo del libro finito primo in classifica e ne deduce una catastrofe culturale, io cerco di attenermi ai fatti e quindi finisco per ricordarmi che chi ha portato quel libro là sopra è un tipo di pubblico che, solo sessanta anni prima, non solo non comprava libri, ma era analfabeta: il passo avanti è evidente”. I nuovi lettori di ogni epoca hanno qualcosa in comune: essendo arrivati da poco nel mondo dei lettori, tendono a leggere qualcosa che sia scritto nella loro lingua, in cui si possano riconoscere. Oggi i nuovi barbari (i nuovi lettori, magari figli di persone che non hanno mai letto) tendono a leggere libri che non rimandino ad altri libri (che non hanno ancora letto). Per loro nei libri deve passare energia e mondo, e l’accento è sul verbo passare. Nei libri deve passare qualcosa che rimandi ad un’esperienza viva: un’emozione condivisa, frusciante, una sensazione, una canzone, un film, i social. Il libro (o la canzone, o il film) si deve agganciare in modo comprensibile ad una sequenza di senso significativa per chi legge (o ascolta, o va al cinema). Questo allargamento del mercato, molto probabilmente guardato con disgusto dai lettori della generazione precedente, rende forse di per sé il nuovo libro primo in classifica un prodotto commerciale privo di qualità? Stiamo parlando del disgusto con cui i fan di Dostoevskij guardano ai lettori di Fabio Volo: quanto siamo consapevoli del fatto che tempo addietro qualche appassionato lettore di Giambattista Vico ha guardato con lo stesso disgusto ai lettori di Dostoevskij? E del fatto che i film di Zalone hanno portato al cinema milioni di persone che non c’erano mai andate prima, né forse dopo? Che i barbari furono, un tempo, coloro che decisero di erigere basiliche cristiane sopra i resti dei templi pagani, usandone le macerie?
“Se ci sono bisogni e gusti nuovi, essi nascono dal fatto che è nuova la gente che ha avuto accesso al riservato campo del desiderare”.
La logica sottostante a tutte queste rivoluzioni sembra essere, seguendo sempre Baricco, la seguente : un sistema è vivo quando il senso è presente ovunque e in maniera dinamica: se il senso è localizzato e immobile muore, e con esso il sistema che l’ha generato. L’autore usa spesso la metafora dei vasi sanguigni, e mi sembra calzante. Se l’umanità fosse un unico corpo, i vasi sanguigni dovrebbero poter trasportare il nutrimento del senso e della consapevolezza ovunque. In caso contrario avremmo degli organi non irrorati, delle sofferenze, delle necrosi, e infine, proprio come nel corpo umano singolo, infiammazione e morte del sistema tutto. Le rivoluzioni spingono per portare il senso e la consapevolezza in ogni singola cellula dell’umanità, e la rivoluzione digitale non fa eccezione. Certo, per un po’ di tempo dovremo sopportare di leggere sul web frasi superficiali scritte da imbecilli (come preannunciato da Umberto Eco) in un italiano pieno di errori di ortografia che noi nemmeno in quinta elementare, ma il fine ultimo risiede più in là di questa fase di passaggio inevitabile. Gli imbecilli c’erano anche prima, ma il connettersi agli altri potrebbe permettere loro di prendere coscienza di sé più velocemente. Il sangue deve arrivare anche a loro, altrimenti diventeranno necrosi pericolose. I muri e il filo spinato sono l’esempio storico concreto delle necrosi che possono colpire gli esseri umani, esito della proiezione sull’Altro delle peggiori idealizzazioni, invidie, paure e pulsioni rabbiose (I comunisti mangiano i bambini, gli Ebrei ci dominano attraverso le banche, le scie chimiche sono esperimenti in cui siamo cavie inconsapevoli, l’omosessualità è un peccato contro Dio, etc.).
La sensazione è che la rivoluzione digitale voglia (più o meno consapevolmente) abbattere i muri e connetterci di più per permetterci di conoscerci meglio, e rendere così più difficile il rimanere sconosciuti a noi stessi, il proiettare il nostro sconosciuto interno sull’Altro, la paranoia conseguente e infine la costruzione di mostri come Auschwitz per eliminare la necrosi presunta, l’uomo nero di turno, il bersaglio sbagliato della nostra ancora insufficiente conoscenza di noi stessi (la vera necrosi).
L’intenzione della rivoluzione digitale sarebbe quindi evolutiva: essa sembra essere coerente con il principio di compensazione alla base della visione della psiche di C. G. Jung. Compensazione di cosa?
Ingegneri hippie
Torniamo agli ingegneri californiani e alla cultura hippie degli anni ’60 e ’70 in cui hanno lavorato alle loro scoperte. Originariamente (qui prendo da Wikipedia), il movimento hippie era composto per la maggior parte da adolescenti e giovani adulti bianchi che avevano ereditato una tradizione di dissenso dai primi bohémien. Gli hippie respingevano con forza le istituzioni, criticavano i valori della classe media, erano contrari alle armi nucleari e alla guerra del Vietnam, abbracciavano aspetti della filosofia orientale, promuovevano la libertà sessuale, erano spesso vegetariani ed ambientalisti, usavano droghe psichedeliche per espandere la propria coscienza e creavano comunità in cui condividere tutto questo.
Essi utilizzavano il teatro di strada, la musica popolare e le sonorità psichedeliche come parte del loro stile di vita e come modo di esprimere i propri sentimenti, le loro proteste e la loro visione del mondo e della vita. Gli hippie si opponevano all'ortodossia politica e sociale, scegliendo una mite e non dottrinaria ideologia che favoriva la pace, l'amore, la fratellanza e la libertà personale, forse incarnata al meglio dai Beatles nella famosissima canzone All we need is love. Essi percepivano la cultura dominante come corrotta, un'entità monolitica che esercitava un indebito potere sulle loro vite, e chiamavano questa cultura "L'Istituzione", "Grande Fratello", o "L'Uomo". Rilevando che essi erano "in cerca di significato e di valore", studiosi come Timothy Miller descrivono gli hippie come un nuovo movimento religioso.
Ora, l’algoritmo di Google è stato studiato per premiare come posto migliore quello frequentato da più gente. Non quello meglio recensito da esperti, sacerdoti, leaders, élite, potenti, padri. Il primo sito web nella pagina in cui finiamo nelle nostre ricerche è, in genere, quello attraversato da più links. Questa rivoluzione contro le mediazioni è esattamente il motivo per cui le dodici nazioni dove sono presenti le maggiori restrizioni sull’uso di Internet sono Paesi dove un uomo o una donna rischia la vita se manifesta il suo dissenso nei confronti delle tradizioni ideologiche o religiose esistenti, qualunque esse siano.
Siamo quindi in presenza di una nuova religione. La nuova religione è la gente che cerca autonomamente senso e consapevolezza, senza mediazioni imposte da altri. Gli esseri umani traggono da questa ricerca un modo rinnovato di vedersi e viversi, caratterizzato dalla sensazione di poter creare un senso per se stessi e per la propria vita. In psicoanalisi chiamiamo Soggetti riflessivi gli individui che praticano con continuità un’attività riflessiva profonda e consapevole su di sé, sugli altri e sul mondo, inconscio compreso (ad esempio, per come esso emerge nei sogni).
Web e inconscio
Non si può non notare una profonda corrispondenza tra il modo di funzionare della nostra mente e il sistema dei links nel web: almeno nel suo modo di pensare non consapevolmente indirizzato (rappresentato da M. Proust e descritto da C. G. Jung), la nostra mente funziona attraverso associazioni libere di immagini, pensieri, sensazioni, ricordi e stati d’animo immersi dentro tonalità affettive. Questo modo di lasciar libera la mente è stata giudicato per molto tempo una esecrabile distrazione a cui porre rimedio, invece che un legittimo modo di funzionamento. È stata la psicoanalisi a dargli importanza e dignità, e ora il web permette a persone del tutto prive di conoscenze psicoanalitiche di vivere un’esperienza finalmente legittima del modo non (consciamente) indirizzato di funzionare della mente: scegliendo una canzone su YouTube compariranno sulla destra canzoni simili tra cui facilmente ne troveremo una che avremo voglia di ascoltare, dato il mood in cui ci troviamo o le nostre scelte precedenti. Il mood è la tonalità affettiva del complesso in cui siamo immersi in un dato momento. Sempre Baricco: “Il Web […], riscrivendo il creato in una lingua più adatta ad essere letta dai viventi, restituiva l’esistente in un formato capace di sbriciolare i muri che rendevano l’esperienza un prodotto di lusso”.
Quale finalità profonda spinge questo cambiamento? Cosa compensa la rivoluzione digitale?
Secondo Baricco si tratta di un sano istinto di fuga dai disastri novecenteschi rappresentati da muri, campi di concentramento e ideologie, e caratterizzati dall’incapacità delle persone di gestire consapevolmente emozioni e pensieri che, proiettati sull’Altro e alimentandosi paranoicamente, hanno portato gli esseri umani a dividersi (“diavolo” è colui che divide), combattersi e uccidersi. Ebbene, la rivoluzione digitale ha risposto a divisioni, muri, pesantezza e rigidità con connessione, leggerezza, velocità e divertimento, accelerando in modo esponenziale il suo cammino appena dopo la caduta del muro di Berlino.
Scrive lo storico Yuval Noah Harari: “Nell’era nucleare si è sviluppata una comunità globale oltre e sopra le diverse nazioni, perché solo una comunità del genere poteva controllare il demone nucleare”.
Connettersi e dialogare (al limite anche insultandosi come gli haters, se non si riesce a fare di meglio) può rendere più facile il conoscersi e riconoscersi simili agli altri, e più difficile il dividersi fino alla completa riduzione dell’Altro ad oggetto (caratteristica principale di tutte le perversioni).
L’antidoto è già in funzione?
Forse. Possiamo pensare che la tensione tra Occidente e Islam potesse generare mostri di maggiore portata, e che invece tutto sommato ce la stiamo cavando velocemente. Può essere interessante anche osservare come il primo movimento politico generato dal web sia arrivato al potere proprio in Italia, un Paese rimasto, in alcune sue profondità, indubbiamente fascista (vedi G8 di Genova). Il governo condiviso tra Movimento 5 stelle e Lega non fa che confermare come i due poli opposti siano intimamente connessi.
Si tratta di un antidoto pensato come tale?
Davvero gli ingegneri hippie pensavano a connetterci di più per rendere più difficile la paranoia e le guerre? Baricco risale abilmente alle parole di Stewart Brand, inventore dell’espressione personal computer nonché assistente di Douglas Engelbart (inventore, nel 1968, del primo mouse, della prima teleconferenza, del primo software di scrittura, del primo computer interattivo): “Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora, cambierai la civiltà”.
Potremmo fare molte precisazioni su queste parole: dire che è nella natura degli umani il poter inventare nuovi strumenti e nuove culture, ampliare il proprio livello di consapevolezza, etc. Sta di fatto che Brand parlava del personal computer come di uno strumento di potere personale contrapposto a quello istituzionale, e che aveva in mente di cambiare la civiltà attraverso il cambiamento degli strumenti culturali di uso comune. In aggiunta, il famoso Stay hungry, stay foolish di Steve Jobs è stato preso da un suo libro, il Whole world catalog, un catalogo di oggetti e spiegazioni utili a vivere in modo libero e indipendente sul pianeta Terra! (tipo come farsi un maglione, come coltivare un orto, etc.).
Come stanno reagendo gli umani a questo cambiamento radicale?
In diversi modi, ovviamente. C’è chi si spaventa e si irrita per la superficialità di chi ha preso parola per la prima volta nei social (persone che esistevano anche prima, ma potevano al massimo esprimersi al bar con gli amici); chi si disorienta e cerca punti di riferimento appoggiandosi a muri ormai superati (vedi Verona, Congresso mondiale delle famiglie - un Ku Klux Klan aggiornato); chi si concentra sui difetti e i pericoli di questa fase avanzata della rivoluzione confrontandoli con gli ideali libertari e hippie della prima fase, quella sì pura e bella; etc. Chi cerca di analizzare il tutto con lucida curiosità e capacità riflessiva, come Baricco, scrive cose davvero significative: “Da una decina d’anni, parte di quel vertiginoso mistero verticale che era la nostra personalità è salito in superficie, è andato a disporsi in luoghi visibili, esposto al vento degli sguardi altrui. […] Sono pezzi autentici della nostra matrice che stiamo traducendo in formati compatibili con la lingua universale: in questo modo li mettiamo a galleggiare sulla corrente del discorso collettivo. Ci aspettiamo, in cambio, di esistere di più, di essere riconosciuti, forse di spiegarci meglio, sicuramente di capirci di più, di essere più evidenti a noi stessi”.
Il web potrebbe quindi favorire il processo di rispecchiamento e riconoscimento che solo può dare, in chi non l’ha ancora potuto vivere, il senso di esistere come Soggetto della sua storia. Diventare Soggetti riflessivi e saper condividere questa consapevolezza con gli altri è esattamente il fine verso cui tende la psicoanalisi: l’intersoggettività.
Il web prende così posto accanto a strumenti più antichi, più lenti e infinitamente più elitari di svelamento e scoperta di sé: romanzi, saggi, arti figurative, teatro. Non è detto che riesca nella sua impresa. Per ora quel che sembra essere accaduto è che “l’ego di miliardi di singoli umani è stato alimentato quotidianamente con delle super vitamine, in parte generate di tool che moltiplicavano le sue abilità, in parte sviluppato dai ripetuti parricidi che commetteva liberandosi delle élite. Una nuova consapevolezza di sé è salita in superficie nella coscienza di milioni di individui che non erano abituati a immaginarsi in quel modo. […] In un certo senso, si riscoprivano a contemplare la realtà da posti in prima fila a cui non avevano mai avuto la lucidità di aspirare, o in palchi che da sempre pensavano riservati ad altri per editti sovrannaturali”.
Questo potenziale aumento di consapevolezza può diventare identità, senso di sé, riflessività, soggettività, oppure rimarrà un’armatura a difesa di identità fragili, una maschera con un nickname, un’arma egoica potenziata dai like? Dipenderà da quello che se ne faranno i singoli Soggetti, ovviamente.
Se è vero, come scrive Harari, che “gli esseri umani sono sempre stati di gran lunga più bravi a inventare strumenti che a usarli con saggezza”, è anche vero che il web ha smosso una potenzialità evolutiva precedentemente cristallizzata dall’impianto rigido della società novecentesca (gerarchie, élite, classi, dinastie etc.) e delle sue istituzioni principali (Stato e scuola in primis). E lo ha fatto, tra le altre cose, moltiplicando il numero delle fonti di informazione e aumentandone l’intensità emotiva (più foto, più video). Insomma, più stimoli e più emozioni che possono sollecitare negli individui una riflessione e una capacità critica in modo più potente rispetto a quanto facesse l’ascolto passivo del telegiornale unico di pochi decenni or sono, che ci portava a immaginare che la guerra in Vietnam fosse combattuta da americani buoni, eroici, alti e robusti contro dei subumani bassi, cattivi, primitivi e coi denti marci.
“Stiamo sul senso, il tema chiave. Il senso non è nelle cose. Dovremmo fare attenzione a cosa i barbari se ne fanno, delle cose. Per esempio, del passato che saccheggiano e tentano di superare”. In psicoanalisi individuale diremmo: l’importante non è tanto quello che è successo, il dato (il passato), ma che il Soggetto/paziente riesca a farsene qualcosa, e che cosa. Il senso è nel divenire, non nell’essere. Tornando al collettivo, all’umanità, “la questione è cosa, del mondo vecchio, decidiamo di portare nel nuovo: si salverà infatti ciò che avremo lasciato mutare, non ciò che avremo conservato”.
Marco Canciani
Riferimenti bibliografici:
A. Baricco, I barbari. Saggio sulla mutazione, Feltrinelli, 2006
A. Baricco, The game, Einaudi, 2018
C. G. Jung, Opere complete, Bollati Boringhieri, 1984-2003
S. Montefoschi, Opere complete, Zephyro, 2004-2011
Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Hippy
Y. N. Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, 2018