
Per molto tempo si è pensato che la fisica fosse una scienza esatta, basata su leggi ferree dimostrabili con esperimenti dall’interpretazione certa, e che invece la psicologia, e la psicoanalisi in particolare, fosse poco più che quattro chiacchiere fatte da studiosi un po’ eccentrici su questioni per lo più insondabili. Poi sono arrivati Bohr, Heisenberg, Pauli e Jung, e la realtà ha cambiato volto. Come ben sintetizza Carlo Rovelli in Sette brevi lezioni di fisica, mentre Einstein teorizza l’esistenza di una realtà oggettiva, Heisenberg ipotizza che gli elettroni esistano soltanto quando interagiscono con qualcos’altro: nella meccanica quantistica nessun oggetto ha una posizione definita, se non quando incoccia contro qualcos’altro. La certezza diviene improvvisamente probabilità, lo spazio è creato dall’interagire di quanti individuali di gravità. Il mondo sembra essere relazione, prima che oggetti. E l’uomo?
La teoria psicoanalitica sta vivendo un percorso evolutivo simile a quello della fisica. Si è passati dall’idea freudiana di un essere umano il cui Io è continuamente alle prese con pulsioni inconsce, rimosse e inaccettabili per la civiltà, ad una visione dell’uomo che nasce primariamente orientato alle relazioni, reali e fantasticate, e che è dotato di tutto ciò che è necessario per far sì che, man mano che il suo corpo e la sua psiche si sviluppano, anche le relazioni in cui è immerso evolvano e si trasformino. Senza relazioni saremmo perduti, perché non potremmo conoscere nemmeno noi stessi. Federico II, per capire se esistesse una lingua innata e non appresa e quale fosse, convinse alcune balie ad allattare dei neonati senza interagire altrimenti con loro: morirono tutti. La lingua innata che andava cercando era quella della relazione. Ad un livello base si tratta del calore umano. In fisica il calore è ciò che permette di concepire niente meno che il passare del tempo: nel tempo, infatti, il calore passa dai corpi più caldi a quelli più freddi. L’uomo ha la peculiarità di avere in sé la capacità di sviluppare una coscienza riflettente, una funzione riflessiva, ma questa capacità diviene effettiva solo se si può sviluppare all’interno di relazioni umane calde, che a loro volta diventano più evolute man mano che l’uomo prende consapevolezza di sé e del mondo.
Ecco cosa scrive Jung sulla coscienza: “Nell’anima, fin dalle sue prime origini, c’è stato un anelito alla luce e un impulso inestinguibile ad uscire dalla primitiva oscurità. L’anelito alla luce è l’anelito alla coscienza. […] La totalità inconscia pertanto mi sembra il vero spiritus rector di tutti i fatti biologici e psichici. Essa aspira a una realizzazione totale, cioè, nel caso dell’uomo, a una totale presa di coscienza. […] Il compito dell’uomo è diventare cosciente di ciò che preme dall’interno, dall’inconscio, invece di rimanerne inconsapevole o identificarsi con esso. In entrambi i casi viene meno al suo destino, che è quello di creare coscienza. […] La coscienza riflettente è la seconda cosmogonia”. Antropocentrico? Forse. Se il Big Bang, come sembra, è stato in realtà un Big Bounce, un grande rimbalzo, e se il nostro mondo è nato espandendosi a partire da un universo precedente che stava contraendosi sotto il proprio peso, comprendiamo in realtà come la natura ci sovrasti. Ma dentro la natura, che è la nostra casa, l’essenza dell’uomo sembra davvero quella di fare coscienza, di cercare, di scoprire sempre di più il senso di ciò che lo circonda e di ciò che è dentro di lui. Lo scollamento rispetto alla commovente apertura relazionale e alla spontanea curiosità e creatività tipica, per esempio, dei bimbi (e spesso così crudelmente castrata dagli adulti) è generatore nell’uomo di ogni perversione. La perversione è, in senso etimologico, etico e psicologico insieme, l’andare contro la direzione evolutiva a cui siamo destinati: una direzione caratterizzata dal continuo sviluppo della funzione riflessiva, dall’intreccio di relazioni sempre più evolute, dalla visione degli Altri come soggetti riflessivi in evoluzione (e non come oggetti che esistono per soddisfare propri bisogni); dalla capacità, infine, di amare e di pensare. L’amore ed il pensiero, Eros e Logos, sono attività creative che, all’interno dello sviluppo del pensiero junghiano portato avanti da Silvia Montefoschi, psicoanalista e (non a caso) biologa, finiscono, scaldandosi a vicenda, per riunirsi e coincidere. Durante un rapporto sessuale non perverso (non scisso), quando ci sentiamo completati dall'Altro, l’espressione che pronunciamo più spesso è probabilmente “Oh, Dio”: come un riconoscimento istintivo che la riunione di Eros e Logos (nel modo differente in cui si danno in sé e nel partner, omo o eterosessuale che sia) è il principio da cui scaturiscono a tutte le cose, l’universo, una nuova vita. Dopodiché, mantenere una tensione (erotica e logica) nella vita di ogni giorno è cosa ben difficile: è un lavoro che richiede uno sforzo consapevole, per poter divenire pratica meditativa costante. Ogni uomo nasce con il talento per progredire su questa strada, per coltivare quella che Erich Fromm ha definito un’arte: l’arte di amare. Mentre l’innamoramento ha a che fare con il sentirsi trasportati sulle ali di un potentissimo sentimento verso qualcuno o qualcosa che non si conosce ancora (a livello cosciente), l’Amore/Pensiero è invece incontro con l’Altro al di là delle nostre proiezioni: è tensione conoscitiva, creatività, libertà, lavoro, arte, relazione.